Gay & Bisex
Immagini dalla sessualità - Parte 6

20.03.2025 |
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"Dovetti scavare a lungo dentro me stesso e negli sguardi degli altri uomini per capire ciò che avrebbe potuto fare al caso mio..."
Visto che le donne erano restie ad ascoltare il desiderio del mio culetto di essere perforato, cercai di cambiare la percezione che avevo del mondo attorno a me per cercare in qualche modo di assecondare lo struggimento che covava nel mio posteriore. Spostai la mia attenzione sugli uomini che incrociavo in ogni luogo e iniziai a notare un certo cambiamento nelle dinamiche dei flussi che scorrevano tra me e chi avevo intorno. Cominciai ad avvertire il sesso maschile in modo differente, se anni addietro gli uomini atteggiati prettamente da gay mi avrebbero suscitato solo un sorriso e qualche pensiero di biasimo, del tipo: "non sai quello che ti perdi a non amare la patonza...", adesso li vedevo con occhio differente, mi chiedevo spesso se anche loro mi avessero notato, se avrei potuto essere il loro tipo, se si sarebbero lasciati scivolare nelle coperte insieme a me. Purtroppo la maggior parte di questi gay evidenti, che non temevano il giudizio della gente, che andavano contro l’omologazione del don’t ask, don’t tell, ma che sembravano voler dimostrare a tutti ciò che erano in barba a tutte le convenzioni, erano troppo giovani per i miei gusti e troppo spiccatamente gay per i miei desideri. Dovetti scavare a lungo dentro me stesso e negli sguardi degli altri uomini per capire ciò che avrebbe potuto fare al caso mio. Io, uno che aveva sempre ragionato poco e agito molto, adesso, nella mia nuova condizione, una condizione che stentavo a comprendere appieno ma che sentivo avrebbe potuto darmi grandi soddisfazioni, mi trovavo a muovermi con i piedi di piombo e a valutare in ogni momento i pro e i contro.Credo che la fortuna per il mio equilibrio psichico fu il fatto di essermi sposato, di essermi sposato con una brava ragazza che aveva pochi grilli per la testa e pochissima fantasia sessuale. Laura era bella di una bellezza acuta, particolare, che emanava dalla sua forma esile e spigolosa ma soprattutto da quell’atteggiamento con cui sapeva portare ogni capo che indossava per quanto particolare fosse. La vidi e me ne innamorai. Fu un colpo di fulmine, l’essere consapevole che avrei voluto invecchiare al suo fianco. Il destino volle che anche lei avesse pensato la stessa cosa.
Avevo un porto sicuro a cui tornare ma anche la libertà di navigare per mari sconosciuti e approdare in baie accoglienti, riuscivo a incastrare anche gli incontri con Viola, mi davo da fare per capire ciò che gli altri uomini vedevano in me e quel che io vedevo in loro. Con il passare degli anni mi accorsi di adocchiare certi tipi più maturi, un po’ robusti e con la barba ben curata. L’esperienza me li fece scoprire come bears. L’occasione nacque dall’apertura di un nuovo barber-shop nella mia cittadina; fino ad allora m’ero sempre affidato ai parrucchieri tradizionali e non avevo mai curato oltremodo quella peluria che mi cresceva sul mento e che solo verso i trent’anni si trasformò in barba vera e propria; una barba che con lo scorrere del tempo s’è fatta brizzolata e che, a detta di tutti, mia moglie compresa, mi ha reso molto più interessante. Non ci andai perché tutti ne parlavano, ci andai perché lo vidi nei primi giorni d’apertura e il suo stile rock anni ‘50 mi colpì. Imparai a conoscere il titolare e tutti i barbieri che si avvicendarono negli anni in cui lo frequentai. Io non ero molto esigente e mi rimettevo sempre alle loro scelte in fatto di stile, che capirono subito come mi piaceva essere pettinato e sbarbato, ma mi trattavano come gli altri che avevano barbe molto più lunghe, folte e impegnative della mia, mi accudivano ad ogni seduta e ad ogni seduta mi sentivo coccolato; mi perdevo nei miei pensieri e nei miei sogni quando mi avvolgevano il viso con l’asciugamano caldo e ci passavano sopra il massaggiatore elettrico, mi sentivo come immerso in un idromassaggio. Mentre la mia sessualità si modellava, mi trovai ad immaginarmi nudo sulla sedia, con la mantella legata al collo, uno dei due barbudos mi tagliava la barba e l’altro si prendeva cura del mio uccello. Mi risvegliavo sempre da questi sogni umidicci non appena la luce tornava a farsi largo dall’asciugamano.
Mi capitò spesso di essere seduto in attesa e intravedere lo sguardo di uno di questi orsetti fisso su di me. A volte veniva subito distolto, altre volte indugiava qualche istante di più e un groppo mi si attorcigliava nello stomaco fino a salirmi in gola, mi chiedevo se quello sguardo andasse oltre la semplice occhiata e fosse un tentativo di contatto. Era un luogo in cui il machismo dominava imperante anche se furono molte le lesbiche che vi incrociai, alcune per farsi fare un taglio "da uomo", altre perché trovavano che un barbiere da uomo, con quello stile un po’ rude tipico dei motociclisti, riuscisse a dare alla loro capigliatura un tocco più aggressivo mantenendo ugualmente la loro femminilità. Come stavo scoprendo in me stesso, le sfumature dei desideri e delle proprie voglie sono pressoché infinite e chiudersi in una definizione piuttosto che in un’altra è limitante. Forse per questo non avevo mai apprezzato l’ambiente puramente gay, - in nessun caso apprezzavo gli ambienti che si dichiaravano puri - che mettessero paletti, che legassero chiunque a una ben marcata definizione. M’è sempre piaciuto l’ambiente fluido, anche quando questa parola non era ancora di moda, quella sorta di crepuscolo che rende indistinte le cose e le fa apparire ancora meglio di ciò che sono. Ripeto, da giovane pensavo di essere un macho, uno sciupafemmine, ho coperto mio malgrado e grazie a tante persone che ho incontrato che non si devono limitare le proprie inclinazioni e che nessuno ha il diritto di decidere cosa è giusto e cosa no.
Quel salone per barbe così particolari era un luogo per habitué; molti avevano il giorno fisso, molti si prendevano l’appuntamento di volta in volta; io avevo trovato il mio ritmo con barba e capelli per restare in ordine quanto bastava e in base alle mie trasferte. Diverse volte m’incrociai con questo orsetto molto distinto, che si presentava in giacca e cravatta e ventiquattrore; era un biondo tendente al rossiccio dagli occhi molto chiari che, attraverso lo specchio, indugiarono parecchio su di me, seduto in attesa. Le tempistiche del lavoro di forbice e quell’aria da macho ad ogni costo che aleggiava sempre nel locale, mi impedirono sempre di fare la prima mossa. L’unica cosa che ci concedevamo era il saluto di rito all’ingresso e all’uscita.
La ruota del fato volle che ci trovammo seduti su due sedie vicine, alla stessa ora dello stesso giorno, e l’ambiente, molto più che famigliare, una sorta di bar-sport in cui tutti parlano con tutti di quegli argomenti faceti soliti dei luoghi frequentati da aficionados - il calcio, le auto, le moto, le vacanze; lasciando per fortuna la politica al di fuori da quella porta a vetri - con la complicità dei nostri due barbieri che estrassero dal cilindro alcuni argomenti che ci accumunavano, ci aiutò a interagire per tutto il tempo della seduta. Scoprimmo di avere alcuni bar preferiti in comune, così come destinazioni di vacanza, oltre che il sogno di trasferirci definitivamente in qualche città del sud della Spagna, magari Malaga.
Uscimmo dal barber-shop insieme e colsi l’occasione per offrirgli un caffè. Davanti alle tazzine fumanti, con i nostri occhi chiari fissi tra di loro, capimmo tutto, anzi, ci dicemmo tutto. Lui mi disse che era sposato con un uomo ma che io gli facevo un bel sangue, che mi aveva adocchiato già da un po’ ma non aveva mai avuto il coraggio di dichiararsi per timore di una mia reazione poco consona.
"Sai," mi disse "non è facile incontrare qualcuno che abbia i tuoi stessi gusti. Gli uomini sono quasi tutti etero e fare avances non è una cosa da poco. C’è sempre il rischio di venir presi a bastonate." deglutii. Avevo sempre pensato che fosse difficile essere gay, ma non fino a questo punto. La società, per quanto ammodernata essa sembri in questi ultimi anni, è ancora pregna di pensiero retrogrado e bigotto; quello stesso pensiero che mi aveva avvolto durate i miei amplessi omo e che scatenava in me un immotivato senso di colpa. In diverse occasioni m’ero ritrovato in discussioni con persone che apertamente criticavano le scelte di vita altrui, bollandole come semplici deviazioni, senza comprendere, ma nemmeno tentare di comprendere, cosa davvero fossero quei sentimenti che si agitavano nel cuore di ciascuno di noi. Per la grande maggioranza del popolo, l’omosessualità è una malattia, che da molti viene tollerata ma di cui parecchi altri invocano l’eradicazione attraverso una cura specifica, un vaccino o l’internamento in apposite strutture. Per tanti, per troppi, l’omosessualità è un fenomeno da baraccone legato a fruste, catene e manette. Limitati alla superficie di ciò che vedono alla Tv, non vogliono mai fare quel passo avanti che aprirebbe le loro menti quel poco, sufficiente a far comprendere che le sfaccettature dei sentimenti sono così numerose da non poter essere catalogate in nessun modo.
Eludendo impegni lavorativi e di famiglia, riuscimmo a organizzare un weekend nella loro casa di villeggiatura sul lago soltanto alcuni mesi dopo. Nel frattempo avevamo intessuto un vivace e continuo scambio di messaggi in cui imparai a conoscerlo meglio, fin dal primo momento mi diede l’impressione di essere un amico di lunga data. Con lui riuscii a esprimere tutti i dubbi che mi attanagliavano, tutte le preoccupazioni che mi opprimevano, gli descrissi i miei momenti di angoscia e di frustrazione davanti ai problemi che la vita ogni giorno mi metteva di fronte, la voglia di mollare tutto e fuggire in un luogo sconosciuto in cui essere libero, ma libero davvero. Mi sentivo sempre soggiogato da tutto ciò che mi ruotava intorno, dai sensi di colpa ma soprattutto dal senso del dovere; dover essere sempre all’altezza, non avere mai un momento di tranquillità, riuscire a ritagliare i propri spazi sempre a discapito di qualcosa d’altro, trovarsi sempre qualcosa o qualcuno in ostacolo tra me e me stesso. Lo so che lo trattai come uno psicologo, ma il rapporto fu reciproco. Anche Davide si aprì; mi narrò delle sue ansie e di quel senso di inadeguatezza che provava tuttora ma che in gioventù l’aveva fatto soffrire, il suo rapporto con il proprio corpo che non riusciva ad apprezzare (nonostante io lo trovassi attraente e anche molto curato) e che durante l’adolescenza era stato causa di attacchi da parte dei bulli e di quelli che, anche se non erano bulli, riversavano sugli altri, sui diversi, sui più grassi, sui più bassi, sui meno attraenti, le loro frustrazioni e quello stesso senso di inadeguatezza che albergava in loro ma che non riuscivano ad esprimere diversamente se non con l’aggressione verbale, e certe volte non solo verbale. Io mi ritenevo fortunato, anche se avevo avuto i miei scazzi con diversi compagni di giochi e di scuola, avevo sempre vissuto “dalla parte giusta”, ero bianco, etero, snello, atletico e, se mi ci mettevo, anche simpatico. Chi mi attaccava, forse, era perché m’invidiava, non di certo perché ero un diverso, uno da cacciare, uno da eliminare, uno che non si sarebbe mai e poi mai voluto vedere. Entrando in contatto con Davide capii che le vite delle persone sono spesso complicate, molto più di quello che ho sempre creduto fosse la mia; capii che lo scherno di un bambino al compagno più grasso, non è solo una smargiassata ma è lo specchio della società umana che, per quanto evoluta essa diventi, non abbandonerà mai il meccanismo di esclusione verso chi non rispecchia i canoni della società stessa. La società umana non si basa sul dogma di camminare al passo del più lento; tutto il contrario, il lento, il diverso, il meno forte viene abbandonato e se avanza la pretesa di qualche diritto si cerca di eliminarlo. Mi chiesi quanti, nel passato ma anche nel presente, abbiano ingoiato i loro pensieri, le loro inclinazioni, i loro desideri pur di non venire messi alla berlina, giudicati e condannati da qualcuno che si arrogava il diritto di farlo solo perché omologato.
Davide mi aprì la porta in accappatoio dal quale spuntavano due gambe muscolose e pelose che affondavano in ciabatte di gomma bianca di ultima generazione. Capii subito le sue intenzioni, da un lato me ne rallegrai, avevo una gran voglia di tornare a provare un uomo dopo parecchio tempo, da un altro mi sentii intimidito da quell’atteggiamento che non ammetteva repliche o tentennamenti. In cuor mio, mentre compivo il primo passo per attraversare la soglia di casa loro, sperai di non essere capitato in un antro di maniaci che avrebbero abusato del mio corpo indifeso e ridotto a brandelli. Fortunatamente ho sempre avuto un buon sesto senso nell’affidarmi alle persone; capivo a pelle se chi avevo dinanzi avrebbe potuto essere pericoloso o meno; era una qualità di cui mi congratulavo sempre con me stesso, mi dicevo sempre che, nonostante le numerose avventure, le numerose persone conosciute, le numerose situazioni in cui m’ero venuto a trovare, questa mia sensibilità nel valutare il mio interlocutore mi aveva salvato la vita. Pregai i miei santi che anche in questo frangente avessi azzeccato il giudizio.
Enrico, suo marito, era seduto sul divano, gambe accavallate, anche lui in accappatoio. Quando feci il mio ingresso, si alzò e venne a salutarmi. Aveva una stretta di mano vigorosa e uno sguardo intenso, barba folta ma, a differenza di Davide, testa completamente rasata. Incuteva una certa autorità e immaginai che fosse lui il top della famiglia, sperai che l’attrezzo che nascondeva sotto la spugna bianca non fosse temibile come la sua stazza poteva far intendere. Mi fecero sedere sul grande divano con penisola in modo che davanti a me, oltre l’ampia vetrata, potessi ammirare il paesaggio lacustre delimitato dalle prealpi dietro le quali il sole si apprestava a tramontare. Davide stappò uno spumante e brindammo al nostro incontro e al nostro weekend. Non sapevo spiegarmi quel timore che provavo, come se mi sentissi una preda di due belve feroci, eppure i due uomini che avevo di fronte facevano di tutto per mettermi a mio agio.
"L’hai mai fato in tre?" Enrico ruppe gl’indugi.
Io scrollai la testa. "Non sono nemmeno molto avvezzo al sesso omo." ammisi candidamente. "Ho avuto qualche esperienza ma l’ho preso solo da una donna, ed era di plastica." risi, forse un po’ nervosamente. Riuscii a notare lo sguardo che si scambiarono i due. Mi parve che Enrico chiedesse a Davide chi gli avesse mai portato?, un novellino?, uno che sarebbe scappato appena la faccenda si fosse infiammata? Non volevo dare quell’impressione; avevo voglia di lasciarmi andare completamente, lasciarmi trascinare dal momento e dalla situazione. "Se sono qui è perché ne ho voglia." Dissi ai miei ospiti. "Non voglio fare lo sborone e…"
"Magari quello potresti farlo!" rise a bocca aperta Enrico che riuscì a sciogliere il gelo che si stava formando tra noi. "Vieni." Continuò alzandosi dal divano e dirigendosi verso quella che immaginai fosse la zona notte. Davide mi sorrise e mi prese per mano. Sicuramente voleva infondermi un po’ di coraggio per quella situazione a me completamente nuova; riuscì a donarmi un po’ di tranquillità e il mio desiderio di scoprirmi ancora di più fece il resto. Mentre guardavo le loro schiene percorrere il breve corridoio, sentivo crescere in me l’eccitazione di star vivendo un’esperienza rara, che il mio sentiero era ormai segnato, che io l’avevo marcato e lo stavo percorrendo senza più alcun timore e varcai la soglia della camera da letto smanioso di vedere cosa i due orsi avevano in serbo.
Quello che vidi mi lasciò senza fiato e se, in un primo momento, ne fui turbato, quello sgomento passò in un lampo, lasciando il posto all’esaltazione. Calati gli accappatoi bianchi, i due voluminosi corpi erano fasciati da alcune cinghie di pelle che partivano da un anello che cingeva la base del pene e i testicoli.
Non mi aspettavo una cosa del genere ma ne fui entusiasta, il corpo nudo dell’uomo maschio non è così sexy come quello di una donna, almeno per quello che provo io, e quindi un accessorio ben indossato può far crescere l’attrazione. Davide mi rassicurò immediatamente sul fatto che non si trattava di una seduta sadomaso, ma che quello era un vezzo che amavano particolarmente. Dopo il primo istante di sbigottimento in cui concentrai la mia attenzione sui lacci in pelle nera, tornai focalizzarmi sulle loro figure. Spogliati erano ancora più massicci di quanto non sembrassero vestiti o in accappatoio, i loro petti larghi sovrastavano le pance prominenti sorrette da gambe nerborute; tutto, in loro, era coperto di peli, fortunatamente non lunghi, sembravano quasi acconciati, curati, rasati. Davide era più rosso e emanava un senso di tenerezza tipica dei cuccioli, Enrico, invece, aveva una peluria più scura che trasmetteva quella determinata decisione che avevo già notato nello sguardo in salotto. La tensione visiva, generata dalle cinghie di pelle che avvolgevano i loro possenti corpi, si focalizzava come una raggera sui loro peni, contornati dall’acciaio dell’anello, adesso dormienti. Non erano così grossi come me li ero immaginati. Edo ce lo aveva molto più lungo e anche i giochi di Diana erano assai più voluminosi, questa constatazione mi sollevò un po’ lo spirito, sapevo di essere ben preparato a tutto quanto.
"Ne abbiamo uno anche per te." Disse Enrico indicando delle fasce di pelle e acciaio stese sul letto. "Se ti va…"
Mi andava eccome. Ero alla ricerca di nuove sensazioni e nuove vie per esplorarle. Avevo voglia di provare, di provare tutto. I due orsi mi si avvicinarono e mi aiutarono a spogliarmi per poi, con movimenti che sembravano troppo delicati per quei corpi imponenti, farmi indossare la strisce di cuoio. Il contatto della pelle dei lacci con la mia pelle scatenò in me una varietà impressionante di sensazioni difficili da descrivere. Lo strofinarsi del cuoio contro l’interno coscia mentre ci facevo scivolare dentro le gambe mi trasmise un brivido che si estese a tutto il corpo e che raggiunse l’apice quando le quattro mani di Davide ed Enrico si affaccendarono intorno al mio uccello per infilarlo nell’anello centrale. Lo sentii vibrare e indurirsi a metà mentre anche le palle venivano accerchiate dal metallo. I miei due compagni risero a quella reazione del mio fallo. “Come sei impaziente!” dissero rivolti all’organo del mio piacere, quindi congiunsero serrarono la chiusura dietro la mia schiena. Così bardato, ogni movimento scatenava una reazione della mia cute fino al mio sistema nervoso, non riuscivo a concentrami su nulla in particolare perché tutto trasmetteva sensazioni voluttuose al mio essere più profondo. Mi accorsi di essere in piena erezione solo dopo aver gustato la morbida carezza del cuoio che mi cingeva. I due orsi, invece, se n’erano accorti ben prima e, afferratolo come una maniglia, mi condussero verso il letto. Mi ritrovai stretto tra loro ventri prominenti e, accarezzato dai loro velli, mi ritrovai a baciare due bocche contemporaneamente, due lingue saettanti che coccolavano la mia. Le cinghie di pelle dei nostri indumenti, che interrompevano le carezze delle nostre mani sui nostri corpi, non erano un impedimento ma uno stimolo a seguire quelle traiettorie bizzarre che si creavano sulle differenti conformazioni dei nostri fisici. Mi sentivo aggredito da due predatori e contemporaneamente protetto da due mammiferi; era un turbine di sensazioni, come sempre, contrastanti. Forse mi stavo rendendo conto, o forse non avevo ancora compreso appieno, che nei rapporti omosessuali la distinzione tra dominante e sottomesso è molto più labile che nei rapporti eterosessuali, in cui il maschio possiede fisicamente la donna mentre questa lo accoglie completamente in sé. Nel poco in cui m’ero addentrato nel mondo gay avevo notato che le sfumature che accompagnano l’amplesso sono molteplici ed estremamente variegate. Tralasciando ogni ulteriore approfondimento di questioni filosofiche legate alla mia sessualità e alla sessualità generale, mi abbandonai al piacere che stavo dando e ricevendo in quella camera da letto bianca e di design.
Davide mi fece sdraiare e prese a dedicarsi al mio cazzo ritto, dalla mia posizione potevo vedere la sua testa che saliva e scendeva lungo tutta l’asta, mi stringeva la base per non farselo sfuggire e riusciva pure a titillarmi lo scroto. Enrico, invece, mi si mise a cavalcioni sul petto, per un secondo temetti di venire schiacciato dalla sua stazza e dal suo enorme culone, ma non avevo contato la dimensione delle sue gambe, che, seppur in ginocchio, reggevano tutto il suo peso. Potevo sentire solo il calore della sua pelle e lo sfregare dei suoi peli. Mi trovai il suo uccello duro, ben indicato dalla raggera di cinghie di cuoio che indossava, davanti alla faccia; era ben più piccolo del mio e certamente più corto di quello di Edo; la cappella spuntava dall’asta invitante e rossa. Allungai una mano e lo afferrai per infilarmelo in bocca. Cominciai a lavorarlo cercando di fare del mio meglio, aiutandomi con le mani e attuando tutto quello che piaceva a me, pensando che fosse gradito anche a lui. Sentii la consistenza turgida e spugnosa sulla lingua, gli avvolsi attorno le labbra e, tenendomi alle sue reni, iniziai a succhiarlo. Enrico mi appoggiò le mani sulla nuca e condusse il movimento. Mentre Davide succhiava me e io traevo piacere dai due lavori, mi chiedevo però come avrei reagito se Enrico mi fosse venuto in bocca, senza avvisarmi. Mi chiesi se avrei ingoiato, avrei sputato, avrei tolto la bocca per ricevere tutto il suo seme in viso facendo però la figura del novellino, cosa che già pensava di me dopo la mia uscita in salotto. In cuor mio sperai che non sborrasse e che mi togliesse da quella situazione.
Enrico non venne e io mi trovai stavolta avvolto in un gran 69 con Davide, che pareva non voler fare a meno del mio uccello tra le labbra. Stavo sopra e sentii Enrico accarezzarmi le natiche. Per un istante temetti che m’avrebbe inculato così, a freddo, senza preparazione, poi, quando capii che non l’avrebbe fatto, la lussuria si espanse in me mentre le sue dita mi accarezzavano tra le chiappe, il buchetto e le palle. Temetti, stavolta, di non riuscire a contenermi e di scaricare tutto il mio piacere in bocca a Davide. Sottrassi il bacino al suo lavoro per evitare l’inevitabile. Mi misi a masturbarli contemporaneamente; due cazzi insieme nelle mie mani e davanti ai miei occhi; li succhiavo a turno, prima uno e poi l’altro, poi li unii e me li infilai insieme in bocca. Sentivo i miei due compagni gemere e le dita di uno dei due sulla mia testa, non spingevano ma mi accarezzavano, udivo qualche parola di apprezzamento per il lavoro che stavo compiendo. Me ne compiacqui. Capivo che la mia anima sessuale si stava espandendo in ogni direzione, che il mutamento era intrinseco in ognuno di noi, che si diventava vecchi davvero solo quando si arrestava il rinnovamento, che non era una vergogna accettare la propria identità sessuale e sociale a prescindere da tutte le costrizioni che vengono imposte da regole convenute e scritte da altri. Nonostante questa presa di coscienza, non riuscivo a confessare a mia moglie questa mia nuova inclinazione, non riuscivo a confessarle nemmeno il desiderio che avevo di salire di un gradino nella nostra relazione, non riuscivo neanche a chiederle cosa davvero le piacesse o cosa desiderasse davvero fare tra le coperte. Anche io ero preda delle convenzioni che vogliono la moglie una femmina da fornelli più che da letto; ero quelle brutte persone che in casa sono dei santerelli ma fuori si sfogano come demoni.
Affogai quel tristo pensiero ingoiando fino in fondo i due falli davanti ai miei occhi, mi lasciai trascinare dalla passione e decisi di non pensare a nulla, soltanto a godere e a far godere. Enrico si sottrasse alle mie lebbra e fece mettere Davide a quattro zampe, si mise un preservativo e lubrificò uccello e culo, poi si appoggiò tra le natiche dell’amico che, abituato a quel piacere, lo accolse agevolmente. Guardavo la scena estasiato, era la prima volta per me vedere da fuori due uomini nel coito, ne ero sempre stato coinvolto ma ora avevo una visuale terza, di semplice spettatore. Distinguevo le contrazioni sul viso di Davide, che provava piacere nel ricevere i colpi inferti da dietro da Enrico, del quale scorgevo i lineamenti avvolti dalla voluttà mentre si spingeva dentro e fuori dal corpo di Davide. Enrico lo teneva per i larghi fianchi e batteva ritmicamente contro il culone di Davide, potevo udire il ritmo crescere mentre la lussuria aumentava in intensità. I gemiti dei due riempivano la stanza in un parossismo di godimento. Mi chiesi fino a quando avrebbe continuato, se sarebbe venuto dentro oppure avrebbe sfilato il preservativo e gli avrebbe sborrato sulla schiena. Ero talmente coinvolto nella scena che mi dimenticavo persino di menarmi il cazzo. Venni richiamato all’ordine da Enrico: "Fai la bella statuina? Vieni qui anche tu." Rinsavii dal mio sogno e mi avvicinai ai due, baciai in bocca Enrico e afferrai il pene di Davide, dritto e ballonzolante sotto di lui.
Percepivo il sesso colmare ogni singolo angolo della mia pelle, avvampare dentro di me come una fiamma ardente, sentivo il godimento provenire dai miei due compagni, Davide ansimava per lo sforzo e Davide mugolava per il piacere che riceveva dal culo e dall’uccello nelle mie mani.
Improvvisamente Enrico si tolse dall’ano di Davide, che gemette un no deluso per quel brusco vuoto lasciato in lui e, lanciandomi un preservativo, m’invitò ad accomodarmi. Mentre Enrico mi lubrificava, "Sei un po’ più grosso di me," disse ridacchiando "per farlo scorrere bene.", Davide si mise a pancia in su e quando m’avvicinai a lui sollevò le gambe. S’era posto un cuscino sotto i lombi e mi trovai nella posizione perfetta per penetrarlo; scivolai dentro come un guanto senza trovare resistenza, mi sembrava una vulva ben bagnata. Affondai fino ad arrivare pelo contro pelo e, ascoltando il lungo gemito di Davide, ci rimasi immobile e ben piantato per un tempo che parve infinito ad entrambi. Ricevevo calore che si diffondeva a tutto il mio bacino e correva lungo la mia spina dorsale giungendo direttamente al cervello facendo esplodere ogni senso del mio piacere. Mi mossi lentamente, estraendo quasi tutta l’asta e la cappella, poi tornai ad affondare, quindi iniziai l’avanti indietro, battendo con i fianchi le natiche di Davide che appoggiava i suoi piedi alle mie spalle. Ebbi l’istinto di andare a baciarli ma mi trattenni, mi limitai ad accarezzarne prima l’uno e poi l’altro. Mi parve gli piacesse, quindi estesi le mie carezze ai polpacci e alle cosce.
Enrico si dava da fare attorno a noi, accarezzava me, sul petto, sulla pancia, sulla schiena. "Se mi tocchi il culo, esplodo." gli dissi cercando di ritardare al massimo il mio orgasmo. Spostò le sue attenzioni su Davide, che ballava sotto i miei colpi, gli succhiò un po’ il cazzo, glielo massaggiò, poi gl’infilò il suo in bocca scopandogliela per qualche istante. Non ero un grande stallone e l’emozione della prima volta in culo a un uomo sommata alla grandissima eccitazione che stavo vivendo in quella stanza con due compagni tutti fasciati di pelle e borchie, mi avvisò che l’eruzione era prossima. "Non credo di durare ancora molto." gemetti tra un colpo e l’altro. "Sfilati e vienigli sulla pancia." mi intimò Enrico, mettendo ancora in evidenza chi fosse a comandare il gioco. Obbedii, tolsi l’uccello dall’ano di Davide, che si dolse nuovamente per quella repentina mancanza, levai il goldone e, salendogli a cavalcioni, in una scrollata o due lanciai i getti del mio seme sull’ampio ventre del mio amante che, dal viso beato che mi mostrò, parve apprezzare il tepore di quel gesto come io avevo gradito lo sperma caldo di Edo la prima volta in cui ero stato a letto con un maschio. Crollai esausto al suo lato mentre lui si accarezzava placido il frutto del mio orgasmo tra i suoi peli ricci.
Enrico si sdraiò alla mia destra e io mi ritrovai in mezzo ai due omoni, che, sentendo i loro cazzi dritti appoggiati alle mie anche, erano ancora eccitati. Ricevetti le cure dei loro baci in bocca e sul collo, e quelli delle loro mani che ancora mi accarezzavano il ventre e l’uccello che si smosciava. Sapevo cosa mi attendeva e cercai di rimanere eccitato nella testa nonostante il corpo chiedesse solo tranquillità. Non mi sottrassi alle loro attenzioni e mi diedi da fare a renderle loro altrettante. "Scopatemi." dissi, "Fatemi godere di culo." avevo davvero voglia di sentirli dentro di me, di capire come scopa un uomo un altro uomo, la sensazione del dildo in plastica non mi bastava più, volevo la carne. Mi misi carponi e chiesi di lubrificarmi il buco; sentii le quattro mani lavorare di saliva e gel tra le mie natiche, la sensazione delle dita che strofinavano e profanavano il mio ano si trasmise anche al pene, che sobbalzò e tornò a riempirsi di sangue voglioso. Una punta di cazzo si appoggiò, tornai con la mente a quando Diana mi penetrava con i suoi giocattoli e rilassai la mente e lo sfintere; ovviamente ero più stretto di Davide, molto più solito a certe pratiche, quindi Enrico si trovò un po’ più in difficoltà nell’entrare, sembrava che io scappassi via ad ogni suo tentativo. "Sdraiati che salgo io." mi sembrava che nelle mie esperienze solitarie mi riuscisse più comodo accovacciarmi sul vibratore incollato al pavimento. Ripetei le fasi di allenamento sul bel fallo di Enrico e, come avevo dedotto, riuscii a farmelo entrare con maggior facilità. Dettai il movimento e assecondai il suo. Lo sentii entrare e uscire dal mio culo senza sforzo. Davide, nel frattempo, si dedicò al mio uccello mezzo moscio. Si dava da fare di labbra e di lingua e di mano, sfortunatamente con poco risultato. Io però stavo imparando a godere di quel bastone carnoso dentro di me, una sensazione del tutto diversa da quella ottenuta dai dildo di Diana; c’era molto più trasporto nei colpi di Enrico, il piacere correva lungo due direzioni.
Sentii le sue mani appoggiarmisi alle natiche e spingermi via, compresi allora il senso di vuoto che avevo visto sul volto di Davide quando il proprio amante sfila l’uccello dal tuo antro; quella mancanza, quell’assenza mi colpì diretto al cuore, avrei voluto che non la smettesse mai. Per fortuna durò poco. Davide mi afferrò per le gambe e mi trascinò al bordo del letto, cazzo in tiro e inguainato di preservativo, puntò e mi penetrò in un colpo solo. Io ero ben aperto e lubrificato e voglioso, forse non voglioso quanto lui, che aveva atteso per così lungo tempo il momento tanto agognato di fottermi. Mentre mi chiavava sentivo il suo ventre prominente sfregarmi i testicoli, già eccitati dall’anello in metallo della nostra divisa di pelle, che, insieme al movimento del sesso ebbero come reazione la nuova erezione del mio cazzo. Cosa che non sfuggì a Enrico che si gettò a menarmelo mentre faceva lo stesso con il suo. Era rosso in viso e anche Davide sbuffava come un mantice, non mancava molto al loro appuntamento con il godimento. Orgasmo che venne annunciato dal mio amante che si tolse dalla mia caverna, mi s’inginocchio a fianco e, contemporaneamente a Enrico, mi scaricò sul petto, sul collo e sul viso tutto il suo carico di sperma. Per la prima volta sentii il sapore salato di un seme estraneo sulle mie labbra. Istintivamente estrassi la lingua e lo assaggiai, lo assaggiai senza provare quel senso di nausea e disgusto che m’ero immaginato. Da lì a dire che avrei ingoiato un’intera sborrata ci passava un lungo viaggio, ma non sentii la repulsione che ritenevo avrei provato.
L’afrore dell’orgasmo che impregnava la stanza da letto si concentrò nel mio basso ventre e, mentre i miei due compagni s’accasciavano ai miei lati, per la seconda volta schizzai, il mio seme si unì a quello che si stava raffreddando sul mio petto.
Ansanti ma soddisfatti per quella sessione sfrenata ci riprendemmo la calma del respiro e dei sensi accarezzandoci l’un l’altro con lo sguardo fisso al soffitto, fino a quando Enrico, da buon commander in chief, ci ordinò di andare tutti a fare la doccia. Con grande perizia mi spogliarono delle cinghie e delle borchie e, stavolta completamente nudi, ci dirigemmo al bagno che aveva un enorme vano doccia di resina e vetro, che permetteva a tutti e tre di starci comodamente. Lavandomi, sentii l’ano rilassato e dilatato come non lo era mai stato, nemmeno con le temibili misure della vasta collezione di giochi di Diana. Davide s’accorse del mio cruccio, "Brucia?" mi chiese sorridendo. "Un po’." risposi "Me lo sento lasco." I due orsi risero, erano certamente più abituati di me a quella sensazione. "Anche se sei ti piaceva farti usare con lo strap-on," continuò Davide, "il rapporto reale è un po’ differente e poi, ci abbiamo dato dentro." e scoppiarono entrambi a ridere sguaiati. Una risata che contagiò anche me.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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